Da bambino avevo un mappamondo. Probabilmente, negli anni, è andato perso in un trasloco.
Penso fosse un oggetto comune di quell’epoca: aveva la lampadina all’interno e le zone di montagna erano in rilievo.
Me l’aveva regalato la mia nonna prima di partire per la Tailandia. “Guarda” mi disse, “Io sarò qui quando tornerai a scuola”. Intanto indicava con l’unghia, fresca di manicure, un pezzetto di terra dall’altro lato del mio globo illuminato.

Non conoscendo assolutamente nulla di quel paese non potevo immaginare la nonna in un contesto. Era a Bangkok. Che per me poteva essere del tutto simile a Piazza Vittorio, Piazza Colombo o Canicattì per quanto ne sapessi all’epoca.
Poi un giorno mamma elettrizzata tornò a casa presto. “Nonna ha telefonato” si affrettò a dirmi, come se il ricordo stesse svanendo, “È stata a dorso di elefante! Bangkok le piace molto, si fermerà lì un altro po’”. Imparai poco dopo che era tipico della nonna: partiva per tre settimane e la rivedevi dopo tre mesi.

Però a quel punto la mia fantasia di bambino si poteva scatenare: elefanti, giungla, permanente argentea, scimmie, liane, unghie smaltate e tigri. L’attesa del ritorno della nonna diventò brevissima: nei miei sogni sapevo dove fosse e potevo raggiungerla con la fantasia.

E niente, in questo momento, sono sfatto dal sudore dovuto a un caldo equatoriale. Su un treno lurido di ritorno da Ayuttaya. Meno di un’ora fa sono stato a dorso di elefante. E sto pensando a quel mappamondo. E nonostante le brutte abitudini che mi scorrono nel sangue dovrei tornare tra tre settimane. Credo.