Un’amica che ti chiede di portare dalla tua vacanza indonesiana delle camicette à la mode thailandese può essere un buon inizio per un racconto di viaggio?
Raggiunta la maggiore età volevo la patente. Era l’unico vero desiderio che avessi. Non avevo ancora compiuto i fatidici 18 anni che ero già iscritto a scuola guida, con il foglio rosa e i libri per superare i quiz.
Superato l’esame e raggiunto l’obiettivo la motorizzazione era in sciopero. Probabilmente lo era dai tempi in cui ottenne la patente mia madre che dovette anche lei aspettare fino a luglio prima di ricevere quel rettangolino rosa tanto agognato.
In quei tre mesi dimenticai tutto: quando si schiacciava la frizione? E la differenza tra freno e freno a mano? Incrocio a T e rotonda cos’erano già?
Domande simili ma inerenti ai tagli di tessuto mi frullavano in mente quando trovammo una sarta a Bali. Seguimmo un cartello nascosto da una plumeria che indicava una stradina secondaria, poi su un muro di recinzione vedemmo la scritta Taylor poco prima di sentire il ringhiare di tre cani da guardia. Due signore intente a chiacchierare ci guardavano stupite mentre i mastini promettevano di assaggiarci. “Stavamo cercando la sarta” riuscii a dire con un filo di voce che difficilmente superò il rumore delle tre guardie zannute di fronte a noi.
Un sorriso e un richiamo ai cani ci fecero capire che eravamo nel posto giusto. Due sospiri di sollievo seguirono quel richiamo, ed erano a un volume decisamente più alto di prima.
Capimmo immediatamente dopo che la conoscenza dell’inglese della sarta era pari alla nostra conoscenza dell’Indonesiano. Ma fortunatamente veniamo dall’Italia e il nostro linguaggio dei segni è internazionale: “5 camicette come quelle in foto per giovedì prossimo” è stato ballato, indicato e disegnato come mai prima d’ora. Del resto lei conosce le movenze dei balli tradizionali balinesi e noi abbiamo un’amica tenace che ci ha chiesto solo 20 volte in 8 giorni se avevamo trovato le camicette. Una la mattina, una la sera e a volte a pranzo per buona misura. Tutto si può fare, anche trovare il tessuto, visto che lei non ne tiene in laboratorio.
Ci mostrò una busta con dei tessuti all’interno e indicò il nome e l’indirizzo stampati sopra. Facile: google drive.
Avevamo affittato l’auto il giorno prima e ci sembrò la migliore occasione per sperimentare le strade balinesi.
Quando presi l’auto a settembre dopo 6 mesi di inattività solo il coraggio, la pazienza e l’amore di Anna riuscirono ad accompagnarmi alla guida della mia Panda bianca da Sanremo, luogo in cui era parcheggiata, a Torino, luogo in cui vivevo. Sulla strada del Tenda ebbi la nausea. Ed ero alla guida. Non seppi mai come fece Anna a sopportare quel viaggio, ma penso di averlo scoperto sulla strada per Tabanan.
Non so se mi abbia terrorizzato di più la guida al contrario, il traffico o i motorini che ti sorpassano a destra, sinistra e sopra. L’Aurelia ad agosto nei primi anni del 2000 è una passeggiata nei campi a confronto. L’isola deve essere citata negli stradari di tutto il mondo per:
- gli incroci alla balinese, riconoscibili dal classico andamento a serpentina goniometrica, in cui fai la prima svolta a destra seguita subito dopo da un’altra a sinistra. Nel mentre altre 3 auto, 8 motorini e un Tir ti hanno circondato.
- le rotonde a doppio senso di circolazione, in cui scegli il senso di marcia in base a come tira il vento durante il giorno. Per verificarlo molte auto hanno infatti una piccola offerta agli dei con dell’incenso pronto all’uso.
- le stradine a dorso di armadillo, riconoscibili dal manto stradale sconnesso, la larghezza ridotta e l’assidua presenza di animali domestici, incauti pedoni e varie altre amenità a bordo strada.
Radio Maria qui non prende. Non ci è rimasto altro che farci una rapida cultura hinduista e rivolgerci alla prima statua di Shiva abbandonata in mezzo alla strada che abbiamo schivato.
Giungemmo infine nella patria del sintetico.
Il più grande negozio di tessuti di Bali vende ogni tipo di filato che contenga del petrolio lavorato a colori più o meno sgargianti. E delle 25 commesse nessuna parla una parola che non sia Balinese. Un dialetto indonesiano di cui neanche la guida riporta più di 5 parole.
Superati i Batik in lycra, le pezze in Jersey, i sarong in nylon con li occhi bendati e il tatto come senso guida giungemmo al lino. In un moderno Giochi senza Frontiere scoprii che avrei dovuto comunicare con l’addetta al taglio. L’ennesima prova della mia volontà.
Ho le camicette in mano: do un dieci abbondante alla mia tenacia, nove all’execution. E un sospiro di sollievo doppio per buona misura.